Quella degli europei è una storia che affonda la sue radici a milioni di anni fa, facendosi strada attraverso ere e cambiamenti climatici, i quali hanno giocato un ruolo molto importante sui flussi migratori.
Adamo, Eva e… un albero improbabile
Prima di addentrarci in questo lungo viaggio che ci porterà in Europa occorre dare una risposta alla domanda “Da dove veniamo?”. Per farlo partiamo dalla considerazione per cui ogni essere umano nasce dall’incontro tra una donna e un uomo. Ripercorrendo all’indietro l’albero genealogico di un qualsiasi individuo troveremo quindi 2 genitori, 4 nonni, 8 bisnonni, 16 trisavoli e così via. In questa progressione geometrica l’albero di un solo individuo moderno risulterebbe avere più di 130 milioni di antenati unici nell’anno 1200. Ma sappiamo che nel XIII secolo la popolazione umana mondiale era circa 300-400 milioni di abitanti. Come si spiega?
1809 – Nasce Charles Darwin | 128 antenati circa per ogni individuo contemporaneo |
1268 – Primo Conclave della Storia | 33 milioni di antenati circa per ogni individuo contemporaneo |
742 – Nasce Carlo Magno | 4,4 trilioni di antenati circa per ogni individuo contemporaneo |
161 – Marco Aurelio diventa Imperatore | 4,6 quintilioni di antenati per ogni individuo contemporaneo |
Per dare un senso al ragionamento bisogna considerare l’esistenza dei gradi di parentela. Questi consentono di tracciare alberi genealogici di un individuo i cui rami si incastrano con quelli di altri individui, i quali a loro volta si incastrano ad alberi di altri individui e così via. Questo approccio riduce drasticamente il numero di antenati unici di ciascun individuo. In ultima analisi, andando molto indietro nel tempo, riusciremmo a tracciare un antenato comune a tutti gli esseri umani che oggi abitano il pianeta. Sostanzialmente siamo quindi tutti parenti, chi più e chi meno. Per questo la differenza nel DNA tra te che stai leggendo e una qualsiasi altra persona delle 8 miliardi attualmente viventi sulla Terra è al massimo pari allo 0,1%.
Grazie alle analisi del DNA, in particolare con il modello matematico della coalescenza, è possibile risalire al primo Homo sapiens maschile e alla prima Homo sapiens femminile da cui noi tutti deriviamo. Questo è possibile in quanto sussistono queste due condizioni naturali:
- 1) Il cromosoma Y viene trasmesso sempre e unicamente per via paterna;
- 2) Il mitocondrio, un organello cellulare con un DNA tutto suo diverso da quello nucleare, viene trasmesso sempre per via materna (eccetto rarissimi casi).
Analizzando i genomi a ritroso, troveremo l’Adamo cromosomiale Y e l’Eva mitocondriale (che non hanno nulla a che vedere con gli omonimi biblici). Si tratta di due individui di cui non si hanno evidenze fossili dirette, vissuti in Africa in epoche diverse: l’Adamo cromosomiale Y circa 200.000-300.000 anni fa e l’Eva mitocondriale circa 100.000-200.000 anni fa. È da loro che derivano tutti gli esseri umani attualmente presenti sulla Terra.
Tuttavia, è importante precisare che Adamo cromosomiale Y e Eva mitocondriale non erano gli unici uomini e donne del loro tempo, né erano una coppia in quanto vissuti in tempi diversi. Rappresentano invece i più recenti antenati comuni da cui tutti abbiamo ereditato il loro cromosoma Y (gli uomini) e il DNA mitocondriale (uomini e donne).
Le migrazioni dell’essere umano
Stabilito che l’antenato comune a tutti gli esseri umani di oggi è vissuto in Africa, andiamo ora a vedere quando e perché la specie a cui apparteniamo ha “deciso” di migrare, fino a colonizzare tutti i continenti.
Il motivo principale è essenzialmente l’instabilità climatica del Pleistocene, un periodo geologico che va da 2,6 milioni di anni fa a 11.000 anni fa. È proprio in questo periodo che in Africa nasce Homo sapiens.
L’instabilità climatica del periodo vedeva infatti l’alternarsi di fasi glaciali e interglaciali, con forti conseguenze sull’ambiente. La regione del Sahara, per esempio, molto vicina alla distribuzione geografica del genere Homo, passava ciclicamente da un clima arido (durante le fasi glaciali) a un clima pluviale (durante le fasi interglaciali) e viceversa.
La barriera migratoria sahariana permise agli esseri umani due sole alternative: rimanere nella fascia centrale e meridionale del continente o spostarsi lungo le coste. Entrambe le alternative si sono verificate contemporaneamente, con percorsi costieri che sono culminati nell’attraversamento del corno d’Africa e dell’Istmo di Suez circa 90.000-120.000 anni fa. I ritrovamenti di Qafzeh e Skhul forniscono evidenze fossili del transito di Homo sapiens in questa direzione.
Non ci sono molte altre testimonianze fossili di questa prima ondata migratoria di Homo sapiens e sembra che questi ominini non abbiano contribuito significativamente al genoma degli umani contemporanei. Questo potrebbe spiegarsi con l’attività catastrofica del vulcano Toba che, proprio in quel periodo, circa 75.000 anni fa, si rendeva protagonista del cosiddetto “Inverno vulcanico“, una stagione fredda e scura durata un millennio che rese ardua la sopravvivenza dell’uomo in Medio Oriente. Oggi l’entità esatta dell’impatto del vulcano Toba sulle popolazioni umane e sulla loro dispersione è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi.
Il maggior contributo genetico agli umani del presente si attribuisce piuttosto alle popolazioni di Homo sapiens rimaste in Africa durante e dopo questo evento. Esse si resero protagoniste dell’evoluzione di un’intelligenza simbolica e di un linguaggio articolato durante la loro permanenza nel continente africano, qualità che in seguito saranno esportate nel resto del mondo con l’avvento di una successiva diaspora “Out of Africa”, avvenuta tra i 50.000 e gli 70.000 anni fa circa.
L’arrivo in Europa e la solitudine dei superstiti
Anche l’Homo sapiens della nuova diaspora, come tutto il genere Homo prima di lui, ha percorso le coste orientali dell’Africa fino a uscirne, portando con sé quell’intelligenza simbolica di cui sopra. Raggiunta la Valle del Giordano, i sapiens incontrano i discendenti della prima migrazione fuori dall’Africa del genere Homo, avvenuta circa 1,9 milioni di anni fa, quindi molto prima della loro (nostra) “nascita”.
La traccia dell’incrocio tra gli umani africani (sapiens) e quelli europei (neanderthal) è scritta nel DNA di tutti gli europei “moderni”. Ogni abitante europeo di oggi conserva infatti nel proprio genoma una percentuale che va dall’1% al 3% di sequenze neanderthaliane. La maggior parte degli africani di oggi non possiede alcuna traccia dei Neanderthal nel proprio genoma in quanto essi sono i diretti discendenti di quelle popolazioni sapiens che non hanno mai lasciato il continente africano e quindi non hanno avuto ibridazioni con altre specie umane. È comunque possibile che piccole tracce di DNA neanderthaliano siano presenti in alcune popolazioni africane a causa di flussi genici successivi.
Dalla Valle del Giordano il tragitto verso le regioni europee vede come prima tappa l’Anatolia, poi la penisola balcanica e l’Europa centro-meridionale. Da qui si diramano due flussi: uno verso nord raggiungerà l’Inghilterra e l’altro, verso ovest, l’Italia, la Francia e la Spagna (la complessità dei flussi migratori e le rotte esatte possono variare a seconda delle scoperte archeologiche e delle ricerche in corso).
Mentre Homo sapiens intraprendeva il suo (nostro) viaggio verso terre sconosciute, portava con sé un bagaglio di abilità cognitive e culturali che lo distingueva dalle altre specie umane. Grazie alla sua rimarcata intelligenza simbolica, Homo sapiens sviluppò forme di comunicazione articolate e tecnologie innovative che permisero di adattarsi a una vasta gamma di ambienti e sopravvivere ai cicli climatici pleistocenici.
Anche gli incroci con i Neanderthal sembrano aver contribuito al successo di noi sapiens: uno studio pubblicato sulla rivista Nature nel 2014, a titolo di esempio, ha individuato una variante genetica neandertaliana associata all’adattamento a bassi livelli di ossigeno nelle popolazioni tibetane che vivono in alta quota. La supremazia di Homo sapiens nel dominio delle risorse e nell’adattamento all’ambiente circostante lo rese un concorrente formidabile per gli altri ominini. In una lenta lotta per la sopravvivenza (mai fisicamente combattuta con armi o spargimenti di sangue sul campo), Homo sapiens spostò gradualmente il delicato equilibrio ecologico delle regioni che colonizzava, riducendo lo spazio e le risorse disponibili per le altre specie umane, portandole all’estinzione.
Umani antichi in Italia
L’arrivo del genere Homo in Italia è coinciso con un momento di trasformazione ecologica: mentre i ghiacci del Pleistocene arretravano, le pianure italiane si aprirono a paesaggi ricchi di risorse, fornendo un rifugio fertile e prospero per una vasta gamma di specie animali, tra cui Palaeoloxodon antiquus (nel centro e sud Italia) e il Mammuth lanoso (nel nord italia).
Per i primi cacciatori umani che si addentravano in queste terre, la presenza abbondante di Palaeoloxodon antiquus rappresentava una risorsa vitale. Questi giganti preistorici non solo fornivano una fonte nutriente di carne e pelle, ma la loro stessa presenza indicava la ricchezza dell’ambiente a favore della sopravvivenza umana.
Così, grazie alla fauna locale e alla ricchezza di risorse offerte da creature imponenti come il Palaeoloxodon antiquus, gli antichi abitanti dell’Italia hanno trovato un luogo ospitale e accogliente dove stabilirsi e prosperare.