La città di Viterbo è ricca di simboli e stemmi che rappresentano la sua storia e la sua cultura. Lo stemma della città è costituito da un leone rampante con la palma, spesso è presente l’acronimo FAUL e un vessillo dello Stato Pontificio.
L’aggiunta della bandiera pontificia ha origini discordanti a seconda delle cronache, scritte o orali che siano; un cronista del XIII secolo, Lanzillotto Viterbiense o Lancillotto, sosteneva che Clemente III, per premiare i Viterbesi che avevano liberato due Cardinali dagli oltraggi del conte Aldobrandino, ricacciandolo fino a Montefiascone, nel 1188 donò al leone del Comune la bandiera con le chiavi.
Carlo Maria Malvasia nella sua opera “Felsina pittrice” riporta però un’altra teoria, scrive infatti: “Trà le finistre due altre storie contenenti le grandezze di detta Città: nella prima finse (dipinse) lo stendardo , ó Vessillo della Chiesa dato, e consegnato a un Bernardo Vicario della Santa Sede, alla presenza di molti Senatori, e di soldati, e d’appresso certi mezzi trombettieri, che dando fiato alle strepitose, e fiere trombe, ben grandi e caricati, accrescono più terribilità a quell’operazione.”
Effettivamente in uno dei riquadri che affrescano le pareti della sala Regia del Palazzo dei Priori di Viterbo, realizzato da Baldassarre Croce, è possibile ammirare la Donazione dello stendardo della Chiesa.
In questa consegna ha svolto un ruolo chiave Bernardo di Coucy: il chierico, di origine francese, fu un protetto di Papa Clemente V, arrivando al titolo di vicario del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia al posto del rettore. Si trovò ad affrontare contemporaneamente le mire espansionistiche dei romani, che volevano appropriarsi delle terre della bassa Tuscia come Vetralla, Toscanella, Canino, ma anche quelle di Enrico VII e dei ghibellini toscani. Dopo un iniziale appoggio da parte degli orvietani, questi si rivoltarono contro colui che era a tutti gli effetti il rettore del Patrimonio, costringendolo a rifugiarsi nella Rocca di Montefiascone; Bernardo di Coucy, per liberarsi dall’assedio, cercò nuovi alleati, i viterbesi, che riuscirono a respingere i persecutori.
In segno di riconoscenza e con l’obiettivo di mantenere la città sua alleata, egli donò a Viterbo la bandiera della Chiesa, una croce bianca in campo rosso.
Quello che viene istoriato in questo affresco è un’interpretazione di tale concessione. Concretamente, infatti, Bernardo di Coucy redisse un diploma, datato 11 marzo 1316 e conservato presso la Biblioteca Comunale degli Ardenti di Viterbo, in cui il vicario del Patrimonio di San Pietro in Tuscia concede al libero Comune di Viterbo di fregiarsi del gonfalone della chiesa accanto alla sua insegna cittadina fintanto che Viterbo fosse rimasta fedele alla Chiesa.
Questo vessillo diverrà, poi, nel tempo parte integrante dello stemma di Viterbo, nonostante nessun pontefice abbia mai ratificato tale atto.
Possiamo, quindi, concludere che gli elementi che costituiscono lo stemma della città di Viterbo sono i seguenti:
- il leone detto Nemeo, rimando alla creatura mitologica sconfitta da Ercole, mitologico fondatore della città;
- la palma, da associare alla città di Ferento distrutta dai viterbesi nel 1172: probabilmente fu in questo contesto che Viterbo aggiunse la palma ferentana al suo stemma;
- il vessillo della Chiesa;
- FAUL, il tetragramma anniano inscritto in un globo sotto la zampa del leone.
Questi dettagli non sono sempre presenti contemporaneamente, vennero infatti combinati in diverse varianti, a volte anche con aggiunte di altri particolari come l’aquila imperiale, la corona o il motto Non metuens verbum, Leo sum qui signo Viterbium cioè “non temendo alcuna offesa, io sono il Leone che rappresenta Viterbo”.
Il riconoscimento dello stemma cittadino fu inoltrato dal Podestà, carica in vigore durante il ventennio fascista, il 24 marzo 1928 e fu approvato con decreto il 19 luglio 1929.