Figura emblematica della storia viterbese, Rosa è il perno culturale, folkloristico e religioso della città.
Beata, ma Santa a clamor di popolo, Rosa nacque nel 1233, per morire all’età di diciotto anni, dopo aver trascorso una vita all’insegna della carità e della lotta contro le eresie e contro l’impero. Tra targhe, manifesti e tradizioni secolari, la presenza della Santa a Viterbo è lampante. Oggi però vi portiamo nei luoghi simbolo della sua vita religiosa.
Prima tra tutti, la Chiesa di Santa Maria in Poggio.
Nominata già in documenti del 1076, è una tra le chiese più antiche della città e deve il suo nome originale al poggio della famiglia Tignosi su cui venne eretta. Dal XVII secolo viene chiamata Chiesa della Crocetta, in quanto venne ceduta ai Crociferi Ministri degli Infermi. All’interno della piccola chiesa trovò riposo Rosa, precedentemente sepolta in realtà senza bara nel cimitero attiguo, dopo esser stata fatta riesumare da Papa Innocenzo IV nel 1252 che dette avvio al processo di canonizzazione. Fino al 1258 il corpo della giovane, miracolosamente incorrotto, restò sotto il primo altare a sinistra. Il 4 settembre di quell’anno, però, Papa Alessandro IV ordinò la traslazione del feretro, ignorando di star dando avvio a una delle più grandi tradizioni italiane dei secoli a venire.
Scendendo la scalinata seicentesca, si nota la particolare fontana dalle teste antropomorfe – invece che leonine come per le altre fontane – su cui aleggia una lunghissima tradizione. Si narra infatti che Rosa, rimproverata ingiustamente di aver rotto la brocca di una compagna, abbia risanato il vaso miracolosamente. In cima alla fontana, a ricordo del fatto, è visibile una scultura.
Pochi metri più avanti, guardando in alto a destra, è possibile rintracciare un’epigrafe recitante “in questa casa nacque, visse e morì la gloriosa vergine S. Rosa”.
Ci troviamo davanti a quella che viene considerata la casa di Rosa, una volta incorporata al monastero, come riportano le fonti del secolo scorso. All’interno è ancora vivo il ricordo della Beata, mantenuto in vita dai volontari che si prendono cura del luogo. Tra i bicchieri riempiti di cera che facevano parte dell’ultima Macchina di Santa Rosa illuminata a fuoco vivo (Ali di Luce, Ascenzi, 2003-2007), e gli ex voto che ricordano la devozione secolare dei cittadini, spunta il bellissimo sarcofago che contenne il corpo fino alla fine del Seicento, quando venne poi realizzata l’urna ancora oggi utilizzata.
Tra le decorazioni del sarcofago, è possibile notare tre serrature, realizzate in momenti diversi per salvaguardare il corpo della Beata, scampato da furti e incendi nei secoli. La tradizione vuole che le ante servissero a mostrare il feretro incorrotto ai fedeli, i quali potevano baciarle la mano e addirittura prendere pezzi di unghia.
Come già accennato, nel 1258 Papa Alessandro IV ordinò la traslazione del corpo di Rosa, dopo dei sogni in cui la giovane chiedeva al Pontefice di far trasferire il suo corpo. È all’interno del Santuario che si possono ancora vedere la Santa viterbese vestita da Clarissa, il suo cuore, contenuto in un’urna da ormai cento anni, e l’ultimo suo pasto, degli acini d’uva. Il Santuario dedicato alla Patrona, per come è visibile oggi, è l’allargamento della chiesa più antica dedicata a San Damiano. Il monastero e la chiesa cambieranno nome alla fine del XIII secolo, quando diventeranno a tutti gli effetti dedicati a Santa Rosa.