TRACCE DI UN PASSATO INDUSTRIALE A VITERBO E NELLA TUSCIA

ex mattatoio

La seconda rivoluzione industriale ha creato una nuova economia e una nuova società, trasformando irreversibilmente il territorio. Nell’analizzare lo spazio cittadino ci si sofferma il più delle volte sui monumenti più celebrati, medievali, rinascimentali o settecenteschi, tralasciando le architetture più semplici e funzionali ai sistemi produttivi. Queste strutture per gran parte abbandonate dagli inizi del secolo scorso sono state teatro dell’operato di molti uomini e donne.

La rivoluzione industriale a Viterbo e nella Tuscia

Una delle zone della città di Viterbo in cui sono concentrate alcune delle più recenti testimonianze dell’industrializzazione è la Valle di Faul. Superata porta Faul si incontravano il mattatoio e il gasometro (la cui costruzione risale alla seconda metà del XIX secolo), stabilimenti collegati con il Fosso Urcionio, oggi coperto per ragioni igieniche dopo che lo stabilimento di mattazione aveva aperto i battenti. Le due strutture nascono subito dopo la fondazione nella capitale del mattatoio di Porta del Popolo e dell’officina del gas a via dei Cerchi.

Il blocco viterbese mattatoio-gasometro e le ex carceri di Santa Maria in Gradi segnano gli anni che precedono e seguono l’unificazione nazionale. Questo periodo viene indicato come una sorta di spartiacque verso uno sviluppo economico effettivo. Proprio in questi anni infatti nel capoluogo della Tuscia sono documentati lanifici, fabbriche di canapa e lino; nonché la produzione di fiammiferi, polvere da sparo, birra e acque “gazzose”. Particolarmente sviluppata la bachicoltura con un allevamento modello fuori Porta Fiorentina. A Civita Castellana sono registrate quattro fabbriche di terraglia e di maiolica e a Ronciglione e Soriano nel Cimino fabbriche di cappelli.

La città dei papi cambia volto

Negli ultimi decenni dell’Ottocento accanto ad una certa evoluzione economica, la soppressione delle corporazioni religiose provoca il passaggio dei beni della chiesa al demanio e la destinazione degli edifici monastici a usi pubblici: caserme, scuole, carceri. Si assiste alla soppressione di quei “segni” urbani che definivano la città, una volte sede del potere pontificio.

In un articolo del 1893 del Corriere di Viterbo si legge come l’industria sia in mano ai carcerati, in quanto i numerosi detenuti avevano impiantato all’interno della chiesa sconsacrata del Salvi (Santa Maria in Gradi) una manifattura di tessitura di panni e di tintoria. Il carcere di Santa Maria in Gradi era inoltre provvisto di laboratori di sartoria e falegnameria e di un’officina per la produzione di chiodi e altri piccoli oggetti in ferro.
Nel primo decennio del XX secolo il livello di industrializzazione di Viterbo è rassicurante se paragonato a quello dei centri all’interno delle altre regioni pontificie. Le manifatture produttive, pur essendo numerose, restano però legate ad una struttura artigianale.

I più importanti stabilimenti di Viterbo e la Tuscia

Superarono sicuramente la dimensione artigianale le industrie come la Società Ceramica Viterbese, una delle più fiorenti della città, fondata nel 1906 dall’ingegnere Tedeschi. Costruita su un oliveto acquistato dall’attiguo carcere di Santa Maria in Gradi, era fornita di tornitori provenienti da Civita Castellana. La materia prima proveniva da Manziana, Vitorchiano e Soriano. Il prodotto finito veniva esportato, oltre che in tutto il Lazio, in Abruzzo, a Napoli, in Lombardia e nel Veneto.

Oltre alla Società Ceramica Viterbese tra i più importanti stabilimenti si annoverano: Distilleria Sociale Cooperativa per le vinacce, Società anonima delle Industrie Estrattive per l’olio al solfuro di carbonio, Società Volsinia di Elettricità, Viterbium la distilleria e fabbrica di liquori.

Viterbo diventa provincia

Nel 1927 Viterbo viene eretta a provincia, un fatto rilevante sul piano politico, che ebbe buone ripercussioni anche sul piano commerciale.

Alcune società romane impiantarono a Viterbo attività di vario genere ma, soprattutto per l’attività agricola, il capoluogo divenne il centro di controllo per tutto l’Alto Lazio. In quest’ottica nascono i Magazzini Generali di Viterbo, in funzione dal 1935 ma situati in un palazzo privato appartenente alla famiglia Blasi, che lo aveva fatto costruire cinque anni prima per commercializzare frutta secca, castagne, nocciole e mandorle.

Nel periodo di amministrazione fascista le acque e gli impianti delle terme vennero cedute all’Opera Nazionale Dopolavoro e negli anni ’30 vengono ristrutturati, ampliati e forniti di un albergo e di servizi.

Nonostante Viterbo fosse diventata provincia non si può parlare di una vera e propria grande industria nel viterbese. L’attività produttiva si svolgeva generalmente sotto forma di piccole industrie e di artigianato. Gli stabilimenti più importanti del capoluogo sono quelli per la produzione degli infissi in legno, dei mobili e diverse segherie. L’industria molitoria è molto attiva, la tradizione delle fabbriche di cordami è ancora presente e vivace, come anche l’industria tipografica.

E va infine segnalata la produzione estrattiva: cave di peperino e di marmo policromo. Ma la vera ricchezza della zona continua a risiedere nei giacimenti di caolino. Grazie a questi, localizzati nel territorio di Civita Castellana, sorsero vari stabilimenti per la produzione ceramica.

 Sara Catanese

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