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Palma Bucarelli e la rivoluzione nella gestione museale

[vc_row][vc_column][vc_column_text]La crescita di interesse verso i musei sta aprendo la strada a moltissime riflessioni. L’istituzione museale non è più un ambiente unicamente informativo e dedicato esclusivamente alla conservazione delle opere. E’ stato ormai trasformato in uno spazio dinamico, attento sia all’aspetto didattico che alla riflessione critica. Questo nuovo modello di museo contemporaneo è il frutto del lascito di una donna che ha rivoluzionato, con le sue idee e il suo temperamento, il mondo dell’arte italiana del Novecento. Lei e’ Palma Bucarelli, la “signora” dell’arte contemporanea.

Calabrese d’origine, nata a Roma, fu la prima donna direttrice di museo in Italia. Per più di trent’anni alla guida della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, fu la grande protagonista di uno scenario critico della storia italiana. Un panorama fatto di grandi difficoltà politiche e ancora impregnato delle tracce di una dittatura tra le menti degli intellettuali. La carriera di Palma è molto precoce. Nel 1933 vince un concorso presso il Ministero dell’Istruzione come ispettrice. Dopo pochi anni, nel 1937, viene affidata alla Regia Soprintendenza alle opere d’arte moderne e medievali del Lazio; e nel 1939 diventa ispettrice delle Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (GNAM). L’Italia è in guerra e la Bucarelli si dimostra subito all’altezza dell’incarico: mette in sicurezza e al riparo dalle razzie dei tedeschi e dalle bombe degli alleati le opere della GNAM. Provvede al trasferimento clandestino nel Palazzo Farnese a Caprarola di 672 dipinti e 63 sculture, seguendo di persona e con numerosi rischi il trasporto. Il suo coraggio deriva da una grande determinazione nell’assicurare che il patrimonio artistico arrivi ai posteri. Dopo l’8 settembre del 1943 i tedeschi, in ritirata, arretrarono verso la campagna e il Palazzo Farnese non fu più sicuro. Palma dovette riportare le opere a Roma, ricoverandole, grazie al permesso del papa, a Castel Sant’Angelo.

Il 10 dicembre del 1944 la GNAM è il primo museo nazionale a riaprire al pubblico dopo la Liberazione. Palma si rende conto della necessità di apportare delle innovazioni e, con l’aiuto del suo maestro Lionello Venturi, permette all’arte contemporanea di entrare fra le mura del museo. Questa scelta produce aspre critiche da parte di chi osteggiava la sua coraggiosa volontà di rinnovamento. La Bucarelli sosteneva fortemente l’arte astratta, a dispetto del movimento realista. Per lei l’astrattismo  era un nuovo linguaggio di espressione; un linguaggio che non faceva più dell’arte uno strumento di riproduzione passiva della realtà ma un mezzo per poter stimolare nella critica, ma soprattutto nel grande pubblico, la facoltà di riflessione sulla realtà. Palma fu la prima, in Italia, a comprendere che un museo d’arte moderna può anche essere istituzionalmente nazionale, ma non può non essere culturalmente internazionale. La GNAM diviene, a partire dalla metà degli anni ’40, luogo di sperimentazione artistica, di scambio interculturale, di applicazione di nuove tecniche museografiche finalizzate a modellare lo spazio espositivo sull’esempio di realtà estere più all’avanguardia. Supportata da Venturi, la direttrice della GNAM progetta una rivoluzionaria idea di museo-scuola, finalizzata ad attrarre pubblico di diverse estrazioni sociali. L’attività didattica della Galleria viene portata avanti attraverso il susseguirsi di una serie di mostre, come “Pittura francese d’oggi” (un excursus della pittura francese da Matisse al Surrealismo); l’esposizione ha lo scopo di assemblare una serie di opere che a causa della guerra non si ha avuto la possibilità di vedere. E, vista l’impossibilità del trasporto, si punta sulle riproduzioni degli originali. Si creano iniziative collaterali attorno, come conferenze e proiezioni per guidare lo spettatore e fargli comprendere quale sia lo sviluppo dell’arte del suo tempo. A questo si aggiunge un riassetto delle esposizioni della collezione sul modello americano: distanze specifiche tra un pezzo e l’altro; collocazione dell’opera all’altezza dello spettatore, colori tenui delle pareti, targhe e pannelli esplicativi. Nonostante questo possa sembrare scontato per noi, a quel tempo era quel che di più innovativo ci fosse nel panorama italiano.

Accanto a questa attività di didattica museale Palma Bucarelli organizza una serie di appuntamenti di rilievo. Gli anni ’50 sono quelli delle grandi mostre. Quelle che l’hanno resa celebre per le scelte anticonformiste e per le polemiche che ne sono seguite: Picasso (’53), Mondrian (’56), Pollock (’58). Quest’ultima mostra, insieme all’esposizione del “Sacco grande” di Burri, attira critiche sprezzanti e denigratorie che diventano oggetto di un’interrogazione parlamentare. Sono anni difficili per la Bucarelli, sostenuta da artisti e critici a lei affini (Venturi e Argan). Lei, però, non cede, difendendo sempre la trasparenza del proprio operato e riuscendo a sconfiggere le accuse che le vengono mosse.
I nemici di “Palma e sangue freddo” (uno dei suoi soprannomi più azzeccati), sono soprattutto uomini. Quelli che non sopportano il potere femminile e che non si arrendono davanti all’intelligenza di una donna che ha lanciato una sfida alla cultura italiana, uscendone vittoriosa. L’arte era un privilegio maschile, una donna che viveva d’arte non era pensabile. Palma è un’ innovatrice non solo per le sue scelte in campo artistico ma in quanto inaugura una figura contemporanea di donna. Un donna che deve affermare sé stessa, la sua bellezza, la sua forza e la sua intelligenza. Emerge dai ricordi di chi l’ha conosciuta come icona di stile, di eleganza e grande femminilità. Una donna superba, sicura, ribelle; appassionata di moda, abile negli affari e innamorata della Galleria, con la quale arriva ad identificarsi quando si trasferisce in un appartamento costruitole appositamente in un’ala del museo. Quel museo che lei stessa aveva fatto diventare un centro di cultura, un luogo di dialogo e comunicazione diretta con il pubblico. Lo aveva reinventato totalmente, trasformandolo in un centro “didattico”, in cui le opere possono e devono essere fruite da ciascun visitatore. Quando Palma Bucarelli va in pensione, nel 1975, il museo appare una struttura ben organizzata, che raccoglie le tappe fondamentali dell’arte italiana dal dopoguerra in poi, con importante testimonianze anche internazionali.

Il pubblico che diventa protagonista; il museo come centro didattico nel quale l’esperienza non si limita alla semplice osservazione delle opere ma deve portare allo sviluppo di un pensiero critico, suscitare riflessioni; questi non sono solo temi cari ad un’ innovatrice come Palma Bucarelli ma hanno costituito il filo conduttore di tutto il suo lavoro. Temi che diventano oggi quanto mai centrali. Soprattutto in relazione alle grandi innovazioni tecnologiche e digitali che sono avvenute, e che anche i musei devono mettere a punto per garantirsi un posto nella contemporaneità.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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