Il prossimo primo giugno sarà inaugurata la V Biennale d’arte di Viterbo curata da Laura Lucibello. Maria Elena Piferi, all’interno della manifestazione, ha scelto per i “suoi” 5 artisti la sede del Museo del Colle del Duomo. L’obiettivo è quello di far dialogare l’arte contemporanea con quella antica conservata lungo il percorso museale.
Ecco una presentazione degli artisti e delle rispettive opere.
GIORGIO BISANTI
Nato a Roma nel 1963, appartenente ai ranghi tecnici della Polizia di Stato, fin da bambino frequenta l’atelier di Renato Guttuso. Diplomato in scultura all’Accademia delle Belle Arti di Roma, ha approfondito gli studi con maestri del calibro di Emilio Greco e Venanzo Crocetti. Inizialmente modellava piccole sculture in cera, che poi fonderà in bronzo, presso gli studi di Guttuso e Pericle Fazzini.
Ritratto muliebre e Gallo sono sculture in terracotta policroma realizzate nel 2018. Con queste opere l’artista si pone sulla strada della coroplastica etrusco-italica rielaborandola in un linguaggio del tutto personale. Attraverso variazioni chiaroscurali derivate dalla modellazione della duttile argilla su cui lo scultore imprime segni e solchi e la costante attenzione al dato fisionomico, genera rappresentazioni schiettamente realistiche.
L’atteggiamento libero della donna etrusca, che partecipava ai banchetti in compagnia dei mariti, sdraiandosi sulla kline con uomini e non disdegnando il bere; la sua ampia partecipazione alla vita sociale, che si riflette nella vasta produzione artistica di quell’epoca, è la stessa che si ritrova nel volto della donna effigiata da Bisanti in Ritratto muliebre.
La figura femminile, pur modellata con un linguaggio colto e raffinato è tuttavia pervasa da una spontaneità e vitalità espressiva più popolare che caratterizza finanche il Gallo, il primo animale che risvegliava con il suo canto la campagna e le città dopo il buio della notte, e che fu assunto dagli Etruschi come simbolo di resurrezione della natura e di rinascita. L’occhio vigile e la posizione orgogliosamente eretta, il suo traghettare l’umanità fuori dagli incubi notturni portando luce e allegria, hanno fatto del gallo, da sempre, una creatura speciale, tanto da far scrivere a Leonardo da Vinci: “L’allegrezza è appropriata al gallo, che d’ogni piccola cosa si rallegra, e canta, con vari e scherzanti movimenti”.
STEFANO GALARDI
Nato a Venezia nel 1965, professore presso l’I.P.S.A.S.R. di Cittaducale (Rieti), vive a Rieti dividendosi tra l’insegnamento e la passione per la sua arte, che ha definito col termine “esoenigmatica”: un neologismo indicante la sua lunga osservazione e l’analisi del mondo visibile che gli hanno consentito di elaborare un pensiero relativo, per contro, all’invisibile, che in arte e in natura si esprime a livello simbolico.
Etruschessa, opera realizzata nel 2017 con un materiale inusuale quale il conglomerato clastico. L’opera è stata già esposta nella XIX e XX Collettiva Internazionale Galleria Farini di Bologna e alla “Fiera d’arte Padova”. Il suo nome è un idioma inventato dall’artista per indicare una sacerdotessa etrusca o meglio la “nascita” – da cui l’abbigliamento in vesti di fanciulla che la caratterizza – intesa come capacità proto-scientifica del popolo etrusco tramandata ai posteri. La scultura poggia su un cubo che era considerato una figura sacra e perciò caratteristica degli altari arcaici. L’opera ha uno sviluppo geometrico nello ”zaino di conoscenza” poggiato sulle spalle, che racchiude un altro principio che regola addirittura l’universo: la successione numerica di Fibonacci. Questa serie grazie al suo elegante legame con l’altrettanto celebre sezione aurea, è alla base di strutture ricorrenti in natura, calcolo delle probabilità, opere d’arte e molto altro ancora.
Simboli del tempo, pittura ad olio su cartoncino entro bottiglia di vetro e basamento in coccio lavorato, è stata realizzata nel 2018, e alla raffigurazione di una coppia di amanti etruschi che richiamano quelli effigiati nel celebre Sarcofago degli Sposi affianca il simbolo per eccellenza della globalizzazione, ossia il marchio Coca Cola. A compendio dell’opera e per meglio carpirne il significato la poesia composta da Galardi per l’esposizione al Museo del Colle del Duomo di Viterbo:
Dal senso di amore di un etrusco momento
donna e uomo in una pietra fugace nel tempo
testimoni immortali di unione profonda,
al simbolo di vita speculare alla morte
archetipo della nostra memoria ancestrale,
ad un simbolo vuoto che al mondo appartiene
e niente vuol dire
Coca Cola… aspettando tutti insieme un’altra pubblicità.
JAN INCORONATO
Nato nel 1985 a Katovice, in Polonia, all’età di tre anni si trasferisce in Italia. Qui compie gli studi presso il Liceo Artistico di Civitavecchia (RM). Perfeziona successivamente l’arte della scultura in Polonia nel laboratorio del Maestro Andrzej Urbansky. Artista a tutto tondo, scultore e pittore dalla personalità eclettica, ogni sua opera scaturisce da una continua e infaticabile ricerca sperimentale di materiali, forme e tecniche combinate. In un divenire sempre nuovo ed originale, grazie ad una fine sensibilità che si manifesta nella trasmigrazione del pensato e del sentito all’interno della materia, l’artista penetra sempre più a fondo spinto dal desiderio di interpretarne la struttura e le possibili varianti; sprofonda sovente nella forma generando sviluppi totalmente inediti.
“Studio sul volo 1” e “Studio sul volo 2” sono sculture in legno e vetro resina con inserti in metallo realizzate nel 2017. Tratte dalla collezione omonima rivelano l’attrazione dell’artista per l’arte divinatoria etrusca degli Auguri. Questi avevano il compito di trarre gli “auspicia” dall’osservazione del volo, del comportamento e del verso degli uccelli, per capire se gli dei approvassero o meno l’agire umano.
L’autore è particolarmente attratto dalle ali dei ratiti. Questi sono uccelli inetti al volo perché con sterno sprovvisto di carena e, quindi, con ali non funzionali e muscoli pettorali atrofizzati. Ispiratori e mezzo tramite il quale l’artista riflette sulla possibilità per l’uomo di superare i propri limiti, le ossa voluminose e piatte che ancorano a terra i ratiti diventano l’occasione per interrogarsi sul rapporto tra corpo e funzione, che diventa contrasto tra il peso della materia e la leggerezza delle illusioni – come quella endemica dell’uomo di scoprirsi in volo – grazie ad equilibri materici sospesi con eleganza e levità.
MADDALENA MAURI
Nata a Roma nel 1962, ma da sempre residente nella Tuscia. Da qualche anno vive nella Villa Lais di Sipicciano (VT), costruita nei primi del ‘700 dalla famiglia Fabricucci e oggi di proprietà dell’artista. Giunta a Sipicciano per proseguire con il suo compagno il percorso iniziato con l’apertura a Rieti della Galleria 3)5 Arte Contemporanea.
Come è sua consuetudine, Maddalena Mauri ha realizzato opere ad hoc per la mostra, con la naturalezza che è diventata la sua cifra stilistica. Mai legata a schemi e definizioni ma sempre libera di raccontare di sé e di quello che la circonda. I suoi amici, la sua campagna, i suoi figli, sono figure predominanti soprattutto nelle tele di grandi dimensioni; dove lo sfondo spesso è costituito da un paesaggio evanescente, dall’atmosfera rarefatta, quasi leonardesca, oppure è arricchito con delle iscrizioni che contribuiscono a cogliere il senso dell’opera, conferendole maggiore incisione e chiarezza.
Questo avviene in Prodigio d’amore, dove il fulmine che cade sulla terra disegna in caratteri etruschi la parola “amore”. Un bagliore improvviso che rischiara e rasserena l’inquieto paesaggio dell’uomo che proietta fuori di sé il senso di smarrimento che lo pervade e che lo induce, come un novello etrusco, ad interrogare gli dèi, per capire attraverso i loro signa la propria condizione.
In Aspis l’artista ricrea la scenografia di un ambiente interno, un soggiorno familiare caldo e ovattato dove trovano spazio una donna e un serpente. Quest’immagine è capace di suscitare una meditazione temporanea da un lato sull’idea della sessualità e dell’incantamento, dall’altra sulla sottigliezza e l’astuzia, riallacciandosi in tal modo al fortissimo aspetto di ambivalenza che contraddistingue il serpente, legato al mondo degli inferi ma anche simbolo propiziatore e donatore di fertilità.
LORENZO ZANETTI POLZI
Nato a Milano, ha trascorso sei anni negli Stati Uniti e oggi vive e lavora tra Roma e Manziana. Laureato in matematica, la sua ricerca artistica si avvale dei concetti di proporzione, continuità, circolarità e infinito che danno vita a una realtà omogenea ed indivisibile. La sua predilezione per l’argilla, che gli permette di manipolare un’idea finché non si concretizza nella forma di un’opera, non gli fa però disdegnare altri materiali (legno, plastica, metallo, ecc..), come pure le opere di pittura materica.
Moebius è un’opera in legno su struttura di alluminio realizzata nel 2017. In matematica, e più precisamente in topologia, il nastro di Möbius trae il suo nome dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius (1790-1868). Questi fu il primo a considerare la possibilità di costruzione di figure topologiche non orientabili. Detto nastro possiede una straordinaria caratteristica: anche se sembra avere due facce (quella interna e quella esterna) e due bordi (quello di sopra e quello di sotto), in realtà se si percorre con lo sguardo ci si accorge che ha una sola faccia e un solo bordo. Per questo motivo il nastro ha affascinato per secoli artisti, filosofi e scienziati. E’ simbolo della coincidenza degli opposti e dimostrazione di come la realtà percepita possieda una profonda unità, anche se in apparenza costituita da parti contrapposte.
Distesa è una terracotta patinata realizzata nel 2016 e rappresenta una figura femminile sdraiata. Un archetipo presente nell’arte di tutti i secoli ed in particolare in quella etrusca. Il banchetto o simposio con i personaggi adagiati su letti tricliniari è infatti uno dei soggetti più frequentemente raffigurati fino almeno al IV secolo.
LA BIENNALE NELLA TUSCIA
La Biennale, curata da Laura Lucibello, sarà ospitata in differenti sedi tra Viterbo, Orvieto, Montefiascone ed altri centri della Tuscia. Grazie alla disponibilità delle diverse sedi la Biennale durerà fino al prossimo 30 settembre.
Maria Elena Piferi