[vc_row][vc_column][vc_column_text]Immaginate di andare a visitare un museo e che all’ingresso invece di rilasciarvi un biglietto vi diano una benda con la quale coprire gli occhi. Come possiamo godere dell’arte se non possiamo vedere? La risposta a questa domanda ce l’hanno data gli ideatori del Museo Tattile Statale Omero, Aldo e Daniela Grassini. Questi signori, entrambi non vedenti, di ritorno da un viaggio in Germania, colti dall’ennesima profonda frustrazione per non aver potuto fruire come gli altri della visita, decisero di creare un museo in cui anche i ciechi avrebbero avuto la possibilità di “vedere”. La nascita di questa struttura è quindi un atto di rivolta. Una persona non vedente vede toccando; e il divieto di toccare, esistente in quasi tutti i musei, costituisce per un cieco un divieto alla possibilità di fruire della bellezza. L’idea dei coniugi Grassini è del 1985 ma la nascita del Museo Tattile Omero risale al 1993. Sei anni più tardi è stato riconosciuto dal Parlamento Museo Statale. Oggi il Museo, che si trova ad Ancona, è ospitato nella Mole Vanvitelliana e la sua collezione conta oltre 150 opere. Copie in gesso e resina di capolavori classici, modellini architettonici e sculture contemporanee originali. Un percorso espositivo di 1500 metri quadri che offre un’enciclopedia tridimensionale di scultura.
Il Museo Omero nasce in primis per permettere ai non vedenti di conoscere la storia dell’arte, ma è un museo per tutti; dove tutti possono toccare. È una struttura senza barriere, per vedenti e non vedenti, che permette di vivere e condividere un’esperienza insieme. Il museo un tempo era visto come un luogo quasi sacro, frequentato da studiosi, appassionati. Oggi le cose sono cambiate. Il diritto e la possibilità di fruire della cultura è un diritto di tutti e non bisogna escludere delle categorie di persone. Tutti i cittadini devono avere le stesse opportunità; e la società deve far sì che ciascuno possa esprimere sé stesso. E l’Italia in questo possiede un primato. Fu il primo paese al mondo a promulgare, alla fine degli anni ’70, una legge che imponeva l’accettazione degli alunni disabili nella scuola. Una scuola che quindi diventa “di tutti e per ciascuno”. E, parlando di democrazia, il museo Omero può essere a ragione definito un museo democratico; poiché esalta il valore del diritto alla fruizione dell’arte per tutti gli esseri umani; e contribuisce alla scoperta di un’arte nuova, che tende alla multisensorialità; e consente di riscoprire le potenzialità cognitive ed estetiche dell’esperienza umana. Finalmente anche i ciechi hanno la possibilità di conoscere alcuni capolavori dell’arte di cui tanto hanno sentito parlare o che hanno addirittura studiato.
Nelle prime sale lo spazio museale ospita riproduzioni dal vero di grandi capolavori dell’arte, come il Discobolo, la Pietà di Michelangelo, la Venere di Milo. A questi sono affiancati modellini architettonici fra cui il Partenone e la Basilica di San Pietro. Ma esiste anche una sezione contemporanea, che accoglie opere originali di molti protagonisti dell’arte del ‘900, come Giorgio De Chirico, Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro. Questo perché il Museo Omero non è solo un museo didattico, ma è un vero e proprio museo d’arte. Ad ogni visitatore è offerta la possibilità di fare un’esperienza tattile che, per i non vedenti, va a colmare un vuoto; ma allo stesso tempo per chi vede costituisce un arricchimento dell’esperienza estetica. Siamo abituati a pensare al toccare come ad una sorta di tabù; il problema del “non toccare” in realtà è un fatto culturale. Non si tocca perché si sporca, non si tocca perché ci si può far male o perché si può creare danno. Il tatto però è uno dei nostri cinque sensi; e, in una società come la nostra che è sempre più visiva, va riscoperto, valorizzato, perché ha la capacità di cogliere delle informazioni che la vista non ha. Al Museo Omero si insegna ai ciechi a esplorare tattilmente con entrambe le mani, perché non è sempre scontato che lo sappiano fare. Gli si insegna ad interpretare le rappresentazioni delle illusioni ottiche: la prospettiva, la profondità, il movimento. Inoltre, la descrizione e l’analisi critica vengono arricchite attraverso l’esposizione verbale e la dotazione di materiali scritti. Per chi vede, la visita bendata è motivo di grande entusiasmo perché dà la possibilità di scoprire un modo diverso per fare esperienza dell’arte. Il contatto tattile ci permette di conoscere la forma di un’opera e di rapportarci con il tipo di materiale; inoltre l’esperienza tattile ha bisogno dei suoi tempi, tempi più lunghi rispetto all’esperienza visiva. La cosa più bella forse però è che il toccare è una dimensione affettiva. Il professor Grassini sostiene che al Museo Omero le opere non si toccano, piuttosto si “accarezzano”. Nell’esperienza tattile investiamo un’emozione importante, che con la vista è limitata dallo spazio che c’è fra noi e ciò che osserviamo. Accarezzando l’opera questa distanza scompare e l’esperienza estetica diventa più intima. Il Museo Omero lancia una sfida alla museologia basata sul divieto di non toccare a priori; e pungola i direttori dei musei a riflettere sulla possibilità di mettere a disposizione delle opere da toccare, dove possibile, senza che l’esperienza tattile pregiudichi la conservazione di tali opere. Il Museo Omero offre a istituzioni, enti e privati la sua esperienza nel campo dell’accessibilità ai beni culturali. Si avvale di operatori formati sui temi dell’educazione inclusiva e multisensoriale, che propongono attività didattiche per tutte le scuole, dai più piccoli del nido ai ragazzi delle superiori. La parte di visita è sempre associata con l’esperienza creativa in laboratorio. Qui si lavora con l’argilla, le stoffe, i punteruoli e le tavolette Braille. Inoltre sono disponibili percorsi gratuiti per famiglie; letture e costruzioni di libri tattili con materiali vari e oggetti da riciclo, attività musicali, dove l’ascolto è al primo posto.
Allora immaginiamo nuovamente di trovarci all’ingresso di un museo, più precisamente all’ingresso del Museo Tattile Omero e che ci facciano bendare gli occhi per fare una visita; di certo l’intento non è quello di farci immedesimare nella vita di un non vedente ma è un modo per dire di chiudere gli occhi, ricordarci che la natura ci ha dotato di cinque sensi, attivarli e riscoprirli.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]